Friday, September 20, 2019

The Great Football Show

Non so se lo avete notato anche voi ma, per qualche strano motivo, quando nei documentari d’oltre oceano si parla della “vera faccia dell’America” le scuole di pensiero sono due: una mostra le solite immagini di persone sovrappeso mentre mangiano, l’altra, nel tentativo di dare un taglio artistico alla Diane Arbus, mediocri ritratti in bianco e nero di individui in situazioni di grave disagio.
Se vi dovesse capitare di visitare gli Stati Uniti nel periodo che va dalla fine dell’estate fino all’autunno inoltrato, e davvero volete vedere “la vera faccia dell’America,” il mio suggerimento è di cercare lo stadio più vicino e andare a vedere una partita di college football.
Non sono mai stata una grande fan di questo sport, conosco il minimo indispensabile delle regole e sono sempre stata infastidita dal fatto che le partite siano divise in quattro quarters di 15 minuti ma durino in media tre ore. Quando però mi è stata offerta la possibilità di andare, un amico ci ha offerto i suoi biglietti perché ha avuto un cambio di programmi, ho preso, come si usa dire, la palla al balzo per vedere una partita in real life.
Il football non è solo una sfida sportiva e il risultato di questa, è un’esperienza completa che inizia dal  momento in cui si scende dall’auto. Le strade vengono chiuse al traffico tranne che per i pulmini che trasportano i fans che preferiscono non camminare fino all’arena, si respira un’aria di festa che diventa man mano più forte quanto più ci si avvicina allo stadio.
I negozi della zona ristretta al traffico mettono le tende fuori e ragazzi vestiti come la mascotte della squadra locale regalano popcorn, hot dogs (ok, non saranno organic grass fed ma vale il pensiero) e gadget vari ai tifosi.
Una caratteristica di questo tipo di eventi sportivi sono i tailgate party, formati principalmente da gruppi di persone con dei mega camper e fuoristrada che cucinano su enormi barbecue muniti di ruote, questi grigliano, mangiano, bevono e gareggiano per il barbecue migliore e seguono la partita dagli schermi giganti fuori dallo stadio. I tailgate party, che prendono il nome dallo sportello posteriore dei truck, sono presenti in altri sport oltre al football, ma è nel football che trovano la loro massima espressione.
Io sono cresciuta in Italia con il nostro tipo di tifoseria estrema, ho avuto un compagno di banco degli ultras, credo di conoscere le peggiori canzoni da stadio, quindi sono  rimasta stupita vedendo tanta bella gioventù di tifoserie opposte camminare sulla stessa strada senza creare disordini. Ogni tanto si lanciavano qualche battuta o coro ma niente di terribile.
Una volta superati i controlli e raggiunto il proprio posto l’energia diventa quasi tangibile, musica, luci, l’inno che viene cantato e i civili con la mano e il berretto sul cuore, i militari, anche quelli non in divisa, con le braccia lunghe sui fianchi e i pugni chiusi, e il volo dei caccia alla fine dell’inno, il tutto ritrasmesso sui Jumbotron, enormi schermi ai lati dello stadio. Poi le bande delle due università che si sfidano sul campo con coreografie complesse mentre contemporaneamente suonano, l’odore forte di fritti e il fumo degli hamburger, un’esperienza multisensoriale.
Durante la partita mi sono talmente lasciata prendere dall’entusiasmo contagioso che quando uno dei giocatori ha iniziato a correre verso la parte opposta con la palla sotto il braccio per fare touchdown ho iniziato a saltare e gridare: “Run Forrest, run!” Poi mi sono ricordata che nel film “Forrest Gump” lui giocava per l’Alabama, l’arcirivale storica della squadra per cui stavo tifando io. Oops.
Ho anche capito perché nessuno si lamenta della durata di queste partite, ogni volta che c’è una pausa, anche di pochi secondi, la banda suona e balla, nel nostro caso i frammenti di musica erano di Iron Man (Black Sabbath) e del tema di Star Wars, non ci si rende davvero conto del tempo che passa.
È un’esperienza che consiglio a tutti, una finestra su un diverso modo di vivere lo sport da spettatore, meno arrabbiati e con più voglia di divertirsi.

Monday, September 16, 2019

Perché noi, in Georgia, siamo speciali

Ogni stato, sappiatelo, ha le sue peculiarità, quando succede qualcosa di inusuale si pensa subito che sia accaduto in Florida, mai sentito parlare del Florida Man Challenge? A New Orleans hanno il carnevale simile a quello italiano, e ciò che accade a Las Vegas, si sa, rimane in Vegas...
Noi, in Georgia, abbiamo le nostre stranezze, non fanno notizia ma le mostriamo orgogliosamente. Chi ha viaggiato in USA avrà avuto modo di notare che spesso sul parabrezza posteriore delle auto si vedono gli adesivi e i decal più vari, d’altronde è il paese che ha inventato i bumper stickers, gli adesivi che storicamente si attaccavano ai paraurti. Dal paraurti c’è stata una lenta migrazione verso l’alto, prima sul cofano, poi sui lati del vetro e, nel caso che sto per descrivere, fino ad occupare il posto d’onore al centro di questo. C’è chi sbandiera la propria fede religiosa, chi il proprio supporto per un candidato politico, chi l’amore per una razza di cani, la squadra di football preferita, la scuola dei figli, tutte informazioni abbastanza rivelatrici, soprattutto per un popolo che tende a proteggere la privacy, ma noi, in Georgia, siamo un gradino più in alto di voi comuni mortali, noi mettiamo il nome e le date di nascita e morte di un nostro caro, una sorta di anagrafe su quattro, a volte sei a seconda dei fuoristrada, ruote.
Ho viaggiato parecchio negli USA e gli unici posti in cui ho notato quel tipo di adesivi sono stati un caso in South Carolina e due o tre in Alabama, ho fatto anche una piccola inchiesta, poco scientifica ammetto, tra le mie amiche che abitano qui e qualcuna di loro ha avvistato queste amenità anche fuori dalla Georgia, probabilmente un nostro expat, penso io.
I modelli più comuni sono bianchi, qualche volta rosa, spesso hanno ali, angeli, e decorazioni sempre sullo stesso tema, seguiti dal nome, secondo nome (o l’iniziale di questo), il cognome, data di nascita e di morte, alcune volte il soprannome, una dedica o una breve poesia. Capita che qualcuno si lasci sopraffare dall’estro creativo e si vedono i famosi “one of a kind,” quelli inimitabili, il più estremo è stato uno con la foto a colori, enorme, del caro estinto.
Cercavo di capire il significato di questo fenomeno, mi è stato suggerito che forse è un modo per onorare qualcuno che ha lasciato la propria auto in eredità ma, osservando le date, non sempre è il caso, o forse è un modo per esternare al mondo il proprio dolore e cercare empatia da persone che hanno provato la stessa pena, o un modo per non dimenticare e in un certo senso tenere viva la persona scomparsa. O forse è semplicemente una sorta di amuleto, come quando vediamo auto con il rosario appeso allo specchietto retrovisore o il magnete con il santino a mo’ di protezione, onestamente non so, comunque è la nostra peculiarità e, nel bene e nel male, noi ne andiamo fieri!

Wednesday, September 4, 2019

School Bureaucracy and The Art of Not Going Nuts

La burocrazia americana è famosa per essere snella e veloce, è però altrettanto famosa perché aderisce strettamente “al libro” come dicono qui. Per dirlo in altri termini si fanno in quattro per aiutarti ma deve essere tutto secondo le regole scritte, la nostra abitudine di chiudere un occhio non esiste.
Mi sono trovata davanti la montagna da scalare quando ho dovuto iscrivere mio figlio nella nuova scuola del nuovo stato, Alabama.
Il primo passo è stato chiamare la scuola che mi ha fornito un link con tutte le condizioni necessarie e sufficienti per poter poter procedere.
Questi sono stati gli step:
1. Registrare lo studente online
2. Dimostrare e/o registrare la residenza presso Auburn City Schools con documenti di acquisto, affitto o tasse, più una bolletta recente
3. Certificato di nascita
4. Vaccini registrati all’ufficio della Sanità della contea
5. Contatti della scuola precedentemente frequentata

Il punto uno non è possibile completarlo (in maniera onesta) senza il punto due.

Punto due, e qui viene il bello: noi abbiamo ancora la residenza in Georgia, non un problema se avessimo anche casa in Alabama, cosa che non abbiamo. Not yet.
L’ agente immobiliare ci ha suggerito di aggirare l’ostacolo iscrivendo il giovanotto come “senza fissa dimora” poiché non risultavamo credibili come lavoratori migranti; l’impiegata della scuola, inorridita, ha detto che la cosa migliore sarebbe stato prendere il domicilio temporaneo in un Extended Stay Hotel, un albergo a lungo termine.
Nella mia testa piena di rosei pensieri avevo già pianificato la strategia: partenza dalla Georgia verso le nove di mattina, due ore circa per arrivare, visto che l’ Alabama è un’ora indietro me la sarei presa con calma, ritiro della ricevuta dall’hotel, registrazione, consegna alla scuola e rientro a casa, semplice no?
Arrivo all’hotel con largo anticipo, naturalmente apre alle undici, quindi vado a fare un giro.
All’ora giusta entro pimpante alla reception, pago e chiedo la ricevuta, la signora, poco paziente:
- Sorry, devi aspettare fino alle tre per fare il check in
- Ma non mi serve fare il check in ora, mi serve la ricevuta
- Sorry, ti posso dare solo la ricevuta di prenotazione
- Vabbè, dammi quella.    ...’nnemmammarua...*
I miei piani sono saltati, entro in fase insetto impazzito che ronza avanti e indietro, qui direbbero running like a chicken with its head cut off, manca solo la musichetta di Benny Hill.
Arrivo all’ufficio delle scuole con la mia bella ricevuta e compilo un affidavit, l’ equivalente della nostra autocertificazione, consegno alla signora che dice:
- Sorry, quello che hai portato non è valido, mi serve un altro tipo di ricevuta
Spiego la situazione, la posso portare alle tre, però ho bisogno di consegnare l’affidavit alla scuola, prima che chiuda. La guardo con gli occhioni di Puss in Boots di Shrek, cede, mi fa un documento temporaneo per la scuola che completerà una volta avuta la ricevuta giusta.
Corro (corro è un parolone, la velocità in quella zona è 30 MPH) alla scuola, consegno i documenti spiegando la storia della residenza. Certificato di nascita ok, contatti scuola precedente ok, vaccini da registrare. Come da registrare?
Qui è stata colpa mia, credevo di essere a posto perché avevo sia il foglio dei vaccini rilasciato dallo stato della Georgia, sia quello del DOD, valido al livello nazionale, territori e installazioni. Speravo chiudesse il famoso occhio... niente.
Sempre cercando di battere il tempo sono andata all’ufficio della sanità della contea a registrare i vaccini. Arrivo e c’era una fila immensa, tantissimi bambini per ricevere le vaccinazioni e altri sfigati come me per registrare le vaccinazioni. Mio figlio, teenager intollerante che ancora non ha imparato a calibrare il volume della voce:
- Secondo te ci becchiamo qualcosa se entriamo in quella stanza con tutti quei bambini con il moccio? Non toccare le maniglie delle porte! Ewww!
Dopo aver aspettato per quasi due lunghe ore, accompagnate da lamentele del teenager e sguardi assassini e minacce poco velate alla sua incolumità da parte mia, arriva il nostro turno.
Mentre la signora trascrive i vaccini, squilla il mio telefono, è l’orso che mi chiede come stiano procedendo le cose, io:
- La gentile signorina che sta trascrivendo i vaccini ha quasi finito, appena ce ne darà una copia la potrò portare a scuola e intraprenderò il lungo viaggio verso la Georgia, sì, abbiamo fame e sete, per fortuna qui c’è un bagno...
La scena drammatica era per la gentile signora, l’avevo sentita poco prima che diceva ad un’altra persona che per avere una copia della registrazione si sarebbe dovuti tornare un altro giorno. Ha funzionato, ho avuto la mia copia immediatamente!
Nel frattempo si erano fatte le tre, tornata all’hotel ho ritirato la ricevuta, visto la stanza per avere un’ idea di come fosse, corsa (whatever) all’ufficio per emendare l’affidavit e poi ancora a scuola per consegnare l’affidavit e il certificato dei vaccini. Missione compiuta!
La prossima volta mi organizzerò per tempo. Eia.**


* metà di un insulto in lingua sarda particolarmente popolare
** Sì. In questo caso fortemente ironico